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"Internazionalizzare"​: oltre la colonizzazione, verso l’integrazione di culture

I valori che spingono a fare impresa sul territorio, dove è sorta la sfida imprenditoriale, sono tanto forti quanto i ragionamenti di convenienza economica. Esportare sullo scacchiere internazionale il successo dell’impresa locale: è questa la sfida dell’internazionalizzazione. In un mondo che viaggia a velocità digitale, la capacità di crescere oltre confine, di individuare la giusta combinazione tra essere presenti sui mercati mondiali e mantenere fede ai propri valori imprenditoriali - pur rinnovandoli e adattandoli al contesto - rappresenta oggi più che mai una sfida a cui tutte le imprese sono chiamate a rispondere per garantire sostenibilità alla crescita.

L’internazionalizzazione, innanzitutto, è un processo che riguarda l’impresa nel suo complesso e non va né confuso né ridotto all’Export, che riguarda invece i prodotti o servizi che l’azienda produce o presta. L’investimento economico, sociale e umano che un processo di internazionalizzazione richiede ed il suo sviluppo lungo un arco temporale articolato è talmente impattante da non permettere di tornare indietro, senza mettere a rischio la solidità dell’azienda.

Una strategia di breve o medio termine non è applicabile, in quanto risponde negativamente alla principale verifica che l’utilizzatore di un prodotto o servizio straniero fa: la disponibilità nel lungo termine del nuovo arrivato, sia essa in termini di oggetto fisico, di prestazione o di servizi a supporto dell’utilizzo nel tempo (i cosiddetti servizi post-vendita). Il Paese che ospita uno sbarco da oltreconfine deve essere convinto dell’intento strategico, più ancora della bontà del prodotto per il quale è disposto a dilazionare il perfezionamento delle caratteristiche di utilità e qualità. Una buona rassicurazione è tipicamente rappresentata da insediamenti in immobili di proprietà e dalla disponibilità dei servizi post-vendita, siano essi di formazione all'utilizzo del prodotto o fruizione del servizio, o ancora di facile riparazione o sostituzione in caso di difettosità.

La prima impressione è quella che conta. Non tanto, appunto, sul prodotto-servizio quanto sulla serietà e solidità dell’approccio, anche a fronte di una prestazione non ancora perfetta in fase di lancio, se sostenuta dalla promessa di una proposta di valore originale e distintiva. Si pensi allo sbarco di Xavier Niel in Italia nel 2017, quando ha dovuto lottare non poco per portare a regime il livello di servizio della sua impresa telefonica (Iliad) in termini di connessione e portabilità. Stessa sorte è toccata nel 2018 a   Leonard Blavatnik, uomo d’affari di origine ebraica con cittadinanza russa, americana e inglese, alle prese con l’iniziale discontinuità del segnale video della sua piattaforma DAZN, che ha fatto infuriare non pochi tifosi italiani durante i primi mesi dopo lo sbarco in Italia.

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Sbarcare in terra straniera con l’approccio sbagliato, con l’ignoranza della cultura locale o con il partner sbagliato può invalidare per anni la possibilità di rientrare. Non c’è come la sfera esperienziale lesa a scatenare il rifiuto di un prodotto o servizio al limite dell’irrazionalità. Mettersi invece nella scia del successo di un cliente o di un fornitore già insediato, in questi casi può aiutare e molto.

Nelle prime esperienze di internazionalizzazione è facile commettere degli errori, amplificati naturalmente dalla “lontananza da casa”. Mettiamoli fin da subito nel budget per l’internazionalizzazione e facciamone tesoro, per evitare di ritirarsi anzitempo e lasciare la strada aperta ad altri, più capaci di noi a capitalizzare sui nostri errori.

“Il fallimento è semplicemente la possibilità di ricominciare in maniera più intelligente”, ha detto Henry Ford.

Google ha addirittura codificato la cultura dell’apprendimento dagli errori nella Post-mortem Culture, la redazione tempestiva (entro 48 ore per non perdere dettagli e informazioni preziose) di un documento che fotografi l’incidente, ne descriva le cause e così pure le azioni intraprese che hanno portato alla soluzione del problema. Il tutto mirato a ridurre la probabilità e l’impatto di un’eventuale ricorrenza futura dello stesso incidente. Utilizzando un linguaggio meno funebre ed a noi imprenditori più vicino, stiamo parlando di quell'approccio che nel gergo della Qualità va sotto il nome di Root Cause Analysis - una delle più diffuse metodologie di analisi per la gestione del rischio – alla quale far seguire la codifica delle soluzioni adottate e delle lezioni apprese conosciuta sotto il nome di Lesson Learned (termine che proviene dalla metodologia del project management).

La partita dell'internazionalizzazione si gioca dunque tutta sulla dimensione umana. 

Umana è la trasformazione che investe prima di tutti l’imprenditore che avvia (non potendovi sfuggire) un processo di internazionalizzazione della propria impresa ed umane sono le debolezze, i timori e le ingenuità nelle quali è facile che si possa perdere il suo operato. Umano è, al pari, il capitale sul quale deve concentrarsi principalmente l’investimento che un processo di questa portata richiede all'impresa a tutti i livelli. Per questo motivo non esiste modello predefinito applicabile a questa o quella impresa.

Non voglia mai l’imprenditore dimenticare che il posizionamento di mercato guadagnato sul suolo domestico è da ricostruire ex-novo sul mercato estero e varia da mercato a mercato col quale ci si vuole confrontare. Nessuno dei fattori competitivi che rendono il prodotto o servizio vincente in casa propria - nemmeno il brand, nella sua apparente immaterialità - sono esportabili one-to-one in un processo di espansione sui mercati internazionali.

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Ha avuto - a questo proposito - copertura planetaria la valanga di messaggi NOT ME (io non ci sarò) agli inviti per la sfilata di Dolce&Gabbana prevista (e poi annullata) il 21 Novembre 2018 a Shanghai e boicottata a causa degli spot accusati di deridere e denigrare le donne asiatiche in nome di stereotipi occidentali lontanissimi dalla cultura cinese. E’ quanto mai degno di nota che il brand di Domenico Dolce e Stefano Gabbana abbia conquistato il mondo facendo proprio della valorizzazione culturale del patrimonio del Sud Italia la propria cifra creativa!

[Articolo liberamente tratto dal mio libro "R-Innovare il Family Business. L'intelligenza naturale dell'imprenditore come differenziale competitivo", Edizioni Guerini, 2019]