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La Philosophia della moda

A 5 anni si addormenta sui tessuti della sartoria di sua madre, che fallirà di lì a poco in quel di Cattolica. Alberta non si arrende, si rimbocca le maniche e continua a sognare.

A 18 anni apre Jolly Shop, il suo primo negozio dove alle griffe alterna qualche suo abito. Femminilità ed eleganza innate, di stile ne ha da vendere. Si mettono in 4 a cucire abiti in un capannone di 400 mq nella provincia romagnola.

A 24 anni firma la sua prima collezione. Capisce che la creatività non basta. Le serve una figura complementare che si occupi dei conti. Ce l'ha in casa. È suo fratello Massimo.

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In sei anni fondano Aeffe. È il 1980. Un anno dopo i Ferretti sbarcano a Milano da dove conquisteranno il mondo senza più fermarsi. Nella loro tela cadranno nomi come Moschino e Pollini e passeranno brand internazionali come Ungaro e Gaultier.

Nel 1984 la linea Philosophy, etichetta rivolta ai giovani oggi guidata da Lorenzo Serafini.

Nel 1996 il primo showroom a New York. Alberta Ferretti diventa ambasciatrice del miglior Made in Italy senza confini. Se ne accorge anche il Presidente Scalfaro che nel 1998 la nomina Cavaliere della Repubblica.

Nel 2018 è la volta delle divise Alitalia e il maglioncino indossato da Chiara Ferragni (nella foto) diventa subito icona.

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Pioniera nella sostenibilità fin dal 2011, nel 2019 spinge sull'acceleratore con la collezione "Love me". Ogni capo è certificato per origine riciclata della materia, l'utilizzo di tessuti biologici e la riduzione dell'uso di sostanze chimiche. Su ognuno campeggia messaggio per far riflettere sull'urgenza del problema ecologico globale. Nella foto, Alberta con Livia Giuggioli, produttrice cinematografica romana ed ex moglie dell'attore Colin Firth.

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Nel 2020, pur coi conti piegati dalla pandemia (-24% sull'anno precedente), decide con l'e-partner milanese Triboo Group di donare il 15% delle vendite alla lotta contro il COVID. Nel 2021 supererà addirittura il fatturato pre-pandemia, volando a 325 milioni €.

La ricetta vincente dei Ferretti è: «Digitali nei processi, artigianali nel DNA».